Welfare

Il non profit nell'erogazione dei servizi sociali

11.09.2014 –  “Il welfare che cambia: il non profit nell’erogazione dei servizi sociali”, questo il titolo del volume Isfol, in corso di pubblicazione, - curato da Annalisa Turchini e Francesca Spitilli nell’ambito dal gruppo di ricerca ‘Economia sociale e non profit’ – che riporta i risultati di una ricerca volta ad analizzare la sfera dei bisogni delle persone attraverso la lettura dell’attuale panorama del non profit nel nostro Paese. L’analisi svolta è cruciale non solo per l’evoluzione degli studi di settore ma anche per le amministrazioni centrali e locali, al fine di supportare la definizione di governance, l’implementazione delle politiche sociali, l’erogazione dei servizi, fino ad arrivare alla ridefinizione di un nuovo welfare. Questo lavoro si colloca, quindi, nell’attuale dibattito sulla necessità di elaborare nuovi modelli di risposta ai bisogni sociali, per contrastare la povertà e l’esclusione sociale.

L’indagine fornisce una chiara fotografia del non profit in Italia. Le cooperative che somministrano servizi sociali sono più presenti nel Nord (60%), seguono il Sud e le Isole (24%) e infine il Centro (16%). Per quanto attiene il livello settoriale emerge una netta diversificazione degli interventi che coprono, oltre al sociale, altri tre macro-ambiti, quali welfare, cultura e ricreazione-istruzione. Particolare l’identikit del lavoratore che opera nei servizi sociali, che risulta essere in prevalenza donna, con contratto a tempo indeterminato, con adeguata qualificazione professionale ma con una retribuzioni medio bassa. Elemento significativo quello della governance che si basa sull’adozione di pratiche decisionali democratiche e allargate ad ampie fasce di lavoratori tale da ridurre il fabbisogno di figure dirigenziali.

Lo studio ha chiarito come il sistema dei servizi sociali non presenti carenze e inefficienze, quanto piuttosto una sorta di negligenza verso le “persone reali”, da una parte nei confronti dei cittadini fruitori dei servizi stessi, che in molti casi si trovano costretti a far fronte a deficit dei servizi territoriali ricorrendo a fornitori “di cura” in nero, e dall’altra nei confronti dei lavoratori presso i servizi che si trovano a vivere un forte squilibrio tra ruolo sociale e reddito.

Le macro aree sulle quali si dovrebbe operare riguardano il rilancio del settore delle politiche di welfare, attraverso  investimenti che prevedano l’aumento della spesa sociale e la riattivazione del Fondo Nazionale delle politiche sociali; il sostegno alle famiglie nell’acquisto dei servizi di cura dal mercato privato, con una combinazione di sistemi di acquisto tramite voucher, agevolazioni e sgravi fiscali; i vincoli per le Amministrazioni locali nell’agire il proprio ruolo di monitoraggio e valutazione degli interventi esternalizzati con procedure di contracting-out, predisponendo linee guida di definizione degli standard minimi di servizio; l’ottimizzazione dei tempi e delle risorse impiegate nei processi di outsourcing avvalendosi di procedure di e-procurement. Oltre ad agevolare la trasparenza, tali interventi potrebbero favorire la comune adozione di classificazioni omogenee dei servizi sociali, declinazione dei livelli essenziali di prestazione, clausole sociali ecc.; una maggiore attenzione alle dimensioni di “comunità” e di “valore sociale” che il soggetto pubblico dovrebbe mettere in sicurezza anziché usare a fini concorrenziali; l’adozione nelle gare pubbliche di criteri di valutazione dei benefici sociali sul modello del social value act, con l’utilizzo estensivo di percorsi di inserimento lavorativo per fasce deboli, la ridefinizione del design dei servizi e la revisione del concetto di efficacia sociale.

Per approfondire:

Economia sociale e non profit

Video intervista ad Annalisa Turchini

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