L’Isfol presenta a Milano gli esiti delle ultime ricerche
03.11.2016 – Si parla tanto in questo periodo del fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training) eppure la lettura del fenomeno viene affrontata sempre da un unico punto di vista.
Per cambiare prospettiva l’Istituto Toniolo di Studi Superiori, in collaborazione con la Fondazione Cariplo e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano hanno voluto dare vita ad un convegno –il primo a livello nazionale- che affrontasse il tema in un’ottica interdisciplinare attraverso letture ed analisi di tipo sociologico, economico, demografico, psicologico ed educativo. Studiosi, ricercatori ed esperti sono stati invitati a presentare contributi sul tema in oggetto e quelli di loro che hanno superato la call si sono ritrovati oggi nella sede dell’Università cattolica del sacro Cuore per confrontarsi su dati, analisi e proposte. Due i contributi Isfol che hanno passato la selezione e che verranno presentati nel corso di questa prima giornata di incontri del convegno Neeting. La prima ad intervenire sarà Anna Ancora con una relazione intitolata “Nel girone dei Neet” attraverso la quale, partendo dai risultati di un indagine Isfol avviata negli ultimi mesi del 2013, si cercherà di spiegare e connotare la condizione di Neet. Il campione scelto per lo studio è costituito da giovani tra i 25 e i 34 anni, ossia la fascia di età più “anziana” dei Neet, residenti in quattro regioni italiane: Lombardia, Lazio, Puglia e Campania. La ripartizione del campione è la seguente: 299 giovani occupati e 715 Neet, quest’ultimi distinti a loro volta in 482 attivi nella ricerca di un lavoro e 233 inattivi. Il primo risultato della ricerca evidenzia sorprendentemente come i giovani provenienti da famiglie di estrazione sociale più elevata sembrino essere più inclini all’inattività passiva, quindi a permanere nella condizione di inattività senza preoccuparsi di cercare lavoro. Viceversa, a conferma di quanto evidenziato anche in altre indagini sul tema, aver realizzato percorsi di studio migliori porta più facilmente alla realizzazione professionale. Tra i dati più interessanti, secondo la ricercatrice Isfol, vi è quello che riguarda la consapevolezza espressa dagli intervistati relativamente alla propria identità professionale. La quasi totalità del campione, infatti, non sa definire le proprie competenze in maniera chiara ed esprime disorientamento rispetto alla propria collocazione nel mondo del lavoro pur rimarcando la propria propensione a lavorare. I più smarriti in assoluto sono i maschi provenienti da famiglie di ceto sociale elevato che hanno realizzato percorsi di studio di maggior successo e inattivi da più di due anni. Al contrario, risulta più semplice definire le proprie competenze quando si tratta di professioni meno qualificate e più operative, che hanno un filo diretto con i lavori da svolgere. Quasi tutti gli intervistati percepiscono la propria condizione di esclusione come “scontata” e la vivono con sentimenti di frustrazione e rabbia. Secondo le conclusioni riportate da Anna Ancora, i Neet rappresentano una popolazione che non riconosce se stessa e che non è consapevole dei rischi a cui è esposta, primo fra tutti quello di far saltare il capitale umano a disposizione, a causa della prolungata esclusione dai contesti occupazionali e formativi.
A seguire, nella sessione poster, verrà presentata una analisi a cura di Alessandro Chiozza, Benedetta Torchia e Luca Mattei che arricchisce le riflessioni sui fenomeni di esclusione dal mondo del lavoro e della formazione con un approfondimento che mette al centro il segmento dei 30-34 ovvero dei giovani-adulti: una generazione di confine ormai estranea a misure loro dedicate, come ad esempio Garanzia Giovani. Il tema indagato è il passaggio verso la vita adulta che convenzionalmente viene sancito dal raggiungimento di cinque eventi: la conclusione dei percorsi di studio, l’inserimento nel mercato del lavoro, l’indipendenza abitativa, la costruzione di una nuova famiglia e la genitorialità. Secondo lo studio Isfol che si basa sui dati dell’indagine InTransizione realizzata su un campione di circa 45.000 giovani di età compresa tra 20 e 34 anni, solo il 21,5% dei 30-34enni traguarda tutti e i cinque gli eventi ma non per questo tutti gli altri non presentano caratteristiche associabili alla sfera dell’età adulta. E’ evidente quindi che tali parametri non possano funzionare per descrivere la condizione di adulto che, invece, è comunque riconoscibile nelle biografie individuali. Se si volesse estendere la definizione di neet anche per il segmento 30-34 ci accorgeremmo che il 32,1% dei giovani adulti, analogamente ai loro coetanei più giovani, non è impegnato in alcuna attività di studio o di lavoro con significative differenze tra uomini (25,8%) e donne (38,9%). Dall’indagine, inoltre, risulta cruciale la disponibilità o meno di risorse familiari e individuali rispetto alle quali l’Isfol ha messo a punto l’indicatore ad hoc per la misurazione della dote familiare. Esso sintetizza la condizione occupazionale, la professione e il titolo di studio dei genitori degli intervistati mettendo questi elementi in relazione alle occasioni o meno di raggiungere l’autonomia dalla famiglia di origine. Ne emergono alcuni dati interessanti, come quello ad esempio che indica una percentuale considerevole di giovani-adulti con una dote familiare alta che rimane a vivere in famiglia procrastinando ulteriormente l’uscita di casa: rispetto ad altri, possono decidere di attendere il momento più favorevole per lasciare il nucleo familiare. A fronte di tali risultati emerge la difficoltà di attribuire una definizione univoca e di utilizzare le categorie più tradizionali per descrivere il passaggio verso la vita adulta dei 30-34enni, tanto che l’analisi suggerisce l’opportunità di investire su questa generazione per sostenere traiettorie di vita sempre meno omologate. Sono gli stessi trentenni infatti che rilanciano i temi del diritto al lavoro e del diritto all’abitazione come tasselli importanti per realizzare il proprio progetto di vita.
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