Lavoro sommerso e immigrazione
24.06.2014 – “Il lavoro sommerso e irregolare degli stranieri in Italia”, questo è il titolo del convegno organizzato dall’Isfol per presentare gli esiti di un’indagine condotta dal gruppo di lavoro coordinato da Claudio Tagliaferro. Al dibattito hanno partecipato rappresentanti del Ministero del Lavoro, delle Regioni, dell’Università e delle rappresentanze sindacali oltre, ovviamente, ai curatori della ricerca Valeria Iadevaia e Francesco Pomponi.
Il saluto di apertura è spettato al presidente dell’Isfol Pier Antonio Varesi, con la lettura di un messaggio inviato dal Sottosegretario di Stato Franca Biondelli, che ribadito la complessità dell’intreccio tra immigrazione e lavoro nero e l’importanza per il decisore politico di avere il sostegno di studi approfonditi sul fenomeno. A questo proposito Tagliaferro ha ricordato che l’Isfol è impegnato da un decennio su tali tematiche, fin da quando nel 2004 ha incominciato a svolgere assistenza tecnica qualificata per il Ministero del Lavoro, proseguendo poi nel 2007 all’interno della cabina di regia istituita su questi temi, fino agli ultimi anni in cui si è distinto per ricerche sempre più innovative sul lavoro sommerso, declinato nelle sue varie sfaccettature di genere o settoriali ed ora sulle categorie svantaggiate.
A dar corpo a queste affermazioni ci hanno pensato Valeria Iadevaia e Francesco Pomponi, che si sono alternati nell’esposizione dei risultati della ricerca, realizzata grazie alla collaborazione con la società Ares 2.0. Il progetto, durato un anno, ha previsto 3.000 interviste a lavoratori stranieri prevalentemente occupati in modo non regolare in sei Regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Dai risultati emerge che il primo periodo d’ingresso è quello che espone maggiormente all’irregolarità insieme alla provenienza, nel caso di immigrati extra comunitari. Sul fronte opposto, invece, troviamo il titolo di studio, che secondo l’indagine si identifica come fattore di protezione rispetto alle situazioni di sfruttamento. Passando ad analizzare le condizioni di lavoro risulta che gli irregolari siano soggetti ad una maggiore volatilità nel rapporto di lavoro, il 39,1% di irregolari infatti dichiara di avere un rapporto di lavoro occasionale, contro il 44,4% dei regolari che dichiara di avere un lavoro a tempo indeterminato.
Una ulteriore tendenza che emerge dall’analisi dei dati è quella dello scarring effect, ossia dell’effetto cicatrice: chi entra da irregolare nel mercato del lavoro e con rapporti precari e occasionali, nella maggior parte dei casi rimane in quella condizione dando vita ad una sorta di trappola dello status occupazionale, che soprattutto nel caso dei lavoratori in nero, amplifica la fragilità e lo svantaggio, con evidenti conseguenze anche sulle condizioni e il livello di vita e sulle prospettive future.
Accanto alle evidenze fornite dalle indagini di campo, sono state presentate anche alcune riflessioni sull’incrocio tra politiche di contrasto al lavoro irregolare e politiche di regolazione dell’immigrazione la cui rigidità avrebbe, in qualche modo, favorito la presenza di immigrazione irregolare, funzionale alle aspettative di quella parte del mercato del lavoro tentata dalle convenienze dell’economia informale, legate ad alcune caratteristiche del nostro mercato del lavoro, dagli alti oneri fiscali e retributivi sulla retribuzione, alla mancanza di una cultura della legalità, fino alla presenza della criminalità organizzata. A cavallo degli anni 90 e 2000, infatti, a fronte di un’economia stagnante e tassi di disoccupazione crescenti, l’immigrazione seguiva andamenti decisamente positivi, andando, probabilmente ad occupare gli spazi aperti dalle trasformazione dei sistemi produttivi e non coperti dall’offerta degli autoctoni. Il risultato, secondo la ricerca, è stato l’innescarsi di uno schema per cui l’economia sommersa, alimentata da fattori endogeni, e le politiche dell’immigrazioni, incentrate sullo stretto rapporto tra contratto di lavoro e legittima permanenza nel Paese avrebbero rappresentato il presupposto del diffondersi dell’immigrazione clandestina, destinata ad essere il serbatoio attraverso il quale il sistema del lavoro sommerso si alimenta.
Lo studio dell’Isfol propone una serie di indicazioni per uscire da questo schema perverso, come quella di introdurre un permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, oppure di estendere agli immigrati il diritto di partecipare a concorsi pubblici facilitando il riconoscimento dei titoli di studio oppure agevolare il rimpatrio volontario attraverso la possibilità di riscattare i contributi versati.
Su questi temi si è aperto un dibattito, che ha visto l’intervento di Emilio Reyneri professore di Sociologia del lavoro all’Università di Milano Bicocca, il quale ha sottolineato come “spesso gli immigrati affermino di essere venuti in Italia perché è più facile trovare lavoro e hanno ragione se si riferiscono a quello sommerso” e ha concluso “è l’economia irregolare che attira gli immigrati”. Stesso interesse per gli esiti dell’indagine è stato espresso anche dai due rappresentanti del Ministero del Lavoro chiamati a partecipare: Daniele Lunetta della Dg Mercato del Lavoro e Antonella Ferrini della Dg Immigrazione. Il convegno si è chiuso con una tavola rotonda coordinata dal presidente Varesi, alla quale hanno preso parte rappresentanti delle Regioni Veneto, Lazio e Campania insieme a quelli delle associazioni datoriali e sindacali.
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